Gli esseri umani fanno parte della natura e il mondo naturale ha un impatto diretto sulla nostra salute e sulla nostra qualità di vita.
Se questo concetto è già difficilmente compreso a pieno dalla stragrande maggioranza delle persone, ancora più oscura è, ai più, la comprensione di come anche il nostro modello sociale e culturale sia inestricabilmente legato alla salute degli ecosistemi. Ecco perché, per celebrare adeguatamente quello che potremmo definire il “mese della biodiversità”, noi di RCE vogliamo raccontarvi brevemente il rapporto tra natura ed economia.
Secondo le stime del World Economic Forum, metà del PIL mondiale dipende in misura elevata o moderata dal mondo naturale.
Tuttavia, l’umanità continua a consumare più di quanto dovrebbe – e più velocemente rispetto alle tempistiche di rinnovo del Pianeta – così come le nostre attività continuano a degradare le risorse da cui dipendiamo.
A valutare il livello di dipendenza delle imprese dagli ecosistemi in salute, e le conseguenze del loro degrado sul sistema produttivo, è il Millennium Ecosystem Assessment che, di recente, ha rilevato come due terzi dei servizi ecosistemici siano in fase di degrado. Una situazione che, però rappresenta anche un’enorme opportunità per chi saprà coglierla.
L’Ecosistema ed alcuni dei servizi che fornisce. I differenti tipi di ecosistemi rappresentati in figura possono fornire vari tipi di servizi alla popolazione umana. La loro capacità di fornire servizi dipende da complesse interazioni biologiche, chimiche
e fisiche che, a loro volta, sono condizionate dalle attività umane. – fonte millenniumassessment.org
Crisi ecologica: categorie di rischio per le imprese
Si potrebbe facilmente pensare che i rischi collegati alla perdita di biodiversità riguardino solo le imprese maggiormente dipendenti dalla natura, come quelle legate al settore estrattivo, agricolo o forestale. Tuttavia, l’intero modello economico che abbiamo costruito dipende dall’esistenza di ecosistemi in salute e, per questo, il degrado del capitale naturale andrebbe considerato tra i principali rischi da evitare.
1. Rischi fisici
Si tratta di danni a beni fisici o della perdita di servizi ecosistemici necessari per i processi produttivi.
Tra gli esempi si possono citare le perdite finanziarie locali e regionali nel settore agricolo dovute alla riduzione dell’impollinazione da parte degli insetti. Un servizio per nulla trascurabile se pensiamo che, secondo la Commissione, ogni anno gli insetti impollinatori generano 15 miliardi di euro di guadagno nel solo territorio comunitario mentre negli ultimi 50 anni la produzione agricola ha avuto un incremento di circa il 30% grazie al contributo diretto degli insetti impollinatori.
Eppure, più del 40% delle specie di invertebrati, in particolare api e farfalle, che garantiscono l’impollinazione, rischiano di scomparire, una percentuale che in Europa sfiora il 50% e mette in pericolo l’intero settore agricolo.
2. Rischi di transizione
Includono cambiamenti politici, azioni legali e cambiamenti nel settore tecnologico. In pratica, l’assunto di base è che se riusciremo ad arrivare ad un punto in cui la comunità internazionale si troverà d’accordo sull’instaurazione di un modello nature positive, sempre più soggetti pubblici e privati saranno propensi ad attuare azioni legali contro gli inadempienti o coloro che non si adegueranno al nuovo percorso.
3. Rischi di interruzione
Si tratta di rischi in cui la perdita o l’impatto delle attività umane sulla natura sconvolge le società o i mercati. Tra questi, la diffusione di nuove zoonosi, la perdita di specie ed ecosistemi e gli impatti dei cambiamenti climatici.
A proposito di questi ultimi, è interessante notare come negli ultimi anni vi sia stata una presa di coscienza crescente e collettiva nei confronti della crisi climatica ma non si possa dire la stessa cosa nei confronti della perdita di biodiversità che, come abbiamo visto, è invece un fattore determinante e fondamentale per le persone così come per le imprese e che è ormai un rischio ambientale e finianziario non trascurabile.
A tal proposito, e per puntare l’accento sull’importanza id agire tempestivamente, il Parlamento Europeo ha nei giorni scorso ha approvato una proposta di legge per porre fine alle dichiarazioni ingannevoli delle aziende. L’obiettivo principale è aiutare i consumatori a fare scelte ecologiche e favorire indirettamente le aziende che compiono azioni concrete volte a contrastare la crisi ecologica. La norma si pone in logica continuità con la Direttiva sulle indicazioni ecologiche, presentata dalla Commissione nel marzo del 2023, fortemente voluta dalla Commissione che ha evidenziato come metà delle dichiarazioni verdi delle aziende nell’UE sono vaghe o fuorvianti e il 40% completamente prive di fondamento.
Ancora una volta, dunque, il cammino è tracciato e ora spetta a dipendenti, consumatori, investitori, politici e noi tutti il rispetto della natura per poter continuare ad operare e prosperare anche nel futuro.