Ti sei mai chiesto da dove provenga il thè che compri al supermercato?
E se ti dicessi che deriva da piante parenti delle comuni camelie ci crederesti?
Sfortunatamente però il viaggio che fanno le bustine di thè commerciali è veramente lungo, forse fin troppo…
Partiamo insieme!
Sono Andrea Massagli e sono andato in Kenya per condurre la mia tesi di laurea magistrale studiando l’impatto dell’uomo sulle paludi degli altipiani a nord di Nairobi usando le specie di anfibi come bioindicatori della salute ambientale.
Queste paludi erano totalmente circondate da un oceano verde, infinito. Piantagioni di thè a perdita d’occhio, un ambiente totalmente nuovo per me, che mi ha suscitato emozioni veramente particolari. Queste aree sono interamente manipolate dall’uomo dai tempi del colonialismo inglese. Infatti, intricate foreste pluviali con un’incredibile biodiversità regnavano un tempo su questi altopiani, dove ora si vedono solo piantagioni divise da siepi di alberi non nativi, insomma una problematica di deforestazione non banale.
Ho scoperto questa realtà sul campo mentre lavoravo alla mia ricerca, venendo a contatto direttamente con le comunità dei raccoglitori di thè che vivevano in piccoli villaggi sparsi in queste sinuose onde verdi tra i 2000 e i 2300m di altitudine.
Subito questa nuova situazione mi ha affascinato e incuriosito, volevo e dovevo capire (come mio solito).
Il consumo dei beni e delle risorse è uno dei problemi principali della società odierna, e di solito chi ci rimette, oltre che al pianeta, sono le persone che lavorano alla base della catena, solitamente rinchiusi in un circolo infinito, come in questo caso in un mare verde.
Queste sono persone comuni, proprio come noi, solo che sono nate in Kenya in mezzo a una piantagione di thè, e quindi sono state “destinate” ad un certo tipo di vita. È incredibile pensare quanto incida il luogo di nascita sulla vita delle persone, ed è totalmente casuale.
I bisogni e la concezione di vita cambiano estremamente da un paese all’altro.
I raccoglitori di thè con cui ho vissuto avevano il cibo, non morivano di fame, ma avevano una dieta molto limitata, non salutare e non abbondante, riso, una specie di polenta (ugali), verdure e ogni tanto carne. L’acqua doveva essere bollita altrimenti il rischio di malattie era alto. La povertà regna sovrana, l’igiene è ridotto al minimo e anche lo spazio di vita dentro le loro baracche di muratura. I vestiti sono tutti usati, logorati e di taglie casuali, soprattutto per i bambini. Uno dei problemi principali è legato proprio a quest’ultimi e alla loro educazione. La maggior parte dei bambini non va a scuola, semplicemente i genitori non possono permettersi di pagare neanche la minima tassa per istruirli. Quindi i giovani sono praticamente già predisposti a rientrare in questo circolo vizioso della raccolta del thè per sopravvivere, per avere un minimo tetto sopra la testa, due vestiti strappati e il cibo sufficiente per la giornata. Lavorano così tanto per così poco che non possono permettersi neanche di pensare o provare altro, sono semplicemente in una prigione senza sbarre.
Ho avuto la possibilità di vivere in 2 villaggi, e da quello che mi hanno detto erano anche messi abbastanza bene rispetto ad altre piantagioni, tutto infatti dipende dal proprietario della piantagione (feudatari in pratica, che possono essere sia Kenyoti che internazionali) e dalla loro bontà d’animo.
I raccoglitori di the solitamente dovrebbero avere più di 18 anni, possono essere uomini e donne e il limite di età superiore non credo esista. Si lavora tutti i giorni tranne la domenica e il sabato pomeriggio, dalle 8-10 ore al giorno, di solito dalle 6 fino alle 16-17 con una piccola pausa pranzo.
Il giorno inizia in una delle tante baracche in muratura prima dell’alba con una tazza di CHAI (thè e latte), senza questa bevanda in questo paese non si fa nulla, è la base in ogni momento (che tra l’altro loro ricomprano il thè dai negozi e non usano quello che raccolgono perché va lavorato, e lo pagano una cifra spropositata). Prima che il sole sorga ci si avvia verso la piantagione, alcuni arrivano a piedi e altri devono prendere i matatu (piccoli furgoncini scassati che funzionano come i nostri autobus).
Si comincia subito a raccogliere le foglie giovani immergendosi fino al busto in queste piantagioni talmente intricate che ti infilzano le gambe ad ogni passo con i rami nascosti sotto le foglie (ci ho provato personalmente ed è veramente doloroso), ed infatti tutti indossano protezioni arrangiate di plastica e di quello che riescono a trovare.
La manualità e velocità con cui raccolgono le foglie è incredibile, ho avuto difficoltà a fotografarli da quanto andavano veloci. I canestri sulle spalle si riempiono in fretta e kg e kg di thè vengono raccolti. Quando la cesta è piena ogni raccoglitore accumula il proprio raccolto in un punto che poi verrà selezionato, messo in dei sacchi e pesato. La paga va a chili quindi più raccogli più guadagni e lo “stipendio” è sporzionato a fine mese, un problema per chi non ha soldi per mangiare il giorno stesso. Considerate che la paga varia tra 5 e 9 KSH (Kenyan Shillings) per chilo di foglie raccolte, e 1 euro corrisponde a circa 138 scellini kenioti, insomma anche senza fare i conti una miseria. La paga che alcuni riuscivano a raggiungere in una giornata di lavoro era circa 500 KSH, ovvero 3,70 euro, IN UNA GIORNATA DI LAVORO.
Riflettiamoci un attimo…
Una cosa che mi ha stupito è che quando pioveva tutti erano più contenti di andare a lavorare, ma per me non aveva senso, poi ho capito. Quando piove il raccolto è bagnato e più pesante e quindi il guadagno era maggiore, surreale.
Finita la giornata lavorativa i responsabili portano i sacchi di thè alla fabbrica e poi tornano a casa. Si cena si va a letto e il giorno dopo si ricomincia, così probabilmente per sempre.
Mi rendo conto che a tratti questo racconto può essere pesante, ma voglio sensibilizzare ad un pensiero e un consumo critico. Se tutti comprassimo prodotti derivanti da progetti certificati a sostegno delle comunità locali e dell’ambiente la situazione probabilmente migliorerebbe.
“Ma costano troppo e non ce lo possiamo permettere considerando la crisi” tanti penseranno. Ne sono pienamente cosciente, anche noi siamo nel solito circolo vizioso ma semplicemente ad un altro livello della catena. Almeno essere a conoscenza di quello che succede intorno noi, e di quello che c’è dietro ad un semplice bene che ormai noi diamo totalmente per scontato (come tantissimi altri), secondo me, dovrebbe essere fondamentale.
Concludo con po’ di leggerezza e con qualche nozione sul thè!
Lo sapevi che il thè nero, il thè verde e tutte le altre tipologie di thè derivano sempre dalla stessa specie di pianta? Camellia sinensis, proprio così una specie di camelia come quelle di questo camelieto. E ti chiederai come è possibile, te lo spiego.
In tutte le piantagioni la specie della pianta del thè è la solita e le piante non vengono piantate ma clonate (ad esempio talee), questi cloni vengono selezionati per formare delle “razze” che hanno caratteristiche un po’ diverse tra loro (più o meno amare, più o meno fibrose, ecc.). “Allora è così che fanno le diverse tipologie di thè!” No, neanche così. Le tecniche per ottenere le diverse tipologie di thè che siamo soliti acquistare derivano semplicemente dal tipo di lavorazione che viene eseguita sulle foglie dopo la raccolta. Ad esempio, processi ossidativi, processi con diverso grado di umidità e temperature danno risultati diversi ottenendo tutte le tipologie di thè che tanto amiamo.
Io quando l’ho scoperto sono rimasto stupito, e tu?
Mi sarebbe piaciuto spiegare di più nel dettaglio questo incredibile mondo ma dovrei scrivere un libro praticamente. Se vi ho stimolato la curiosità e volete avere altre informazioni, non esitate a contattarmi, sarò più che felice di condividere con voi questa esperienza e di creare uno scambio di pareri! Spero a presto allora!
Intanto vi auguro di poter viaggiare con una mentalità critica, come esploratori e non come turisti, per capire nuove concezioni di vita e ampliare la nostra.
Buone esplorazioni!
Andrea Massagli
@undernature
[email protected]
www.andreamassagli.com (sito in fase di sviluppo, abbiate pazienza)
Questo progetto è in collaborazione con RCE FOTO, il più grande mercato di materiale fotografico usato in Italia che lavora per proteggere l’ambiente e per aiutare progetti come il mio di protezione ambientale!