Nonostante i due anni di ritardo dovuti alla pandemia, e la quasi totale mancanza di copertura mediatica, a dicembre si è conclusa a Montreal l’ultima sessione di negoziato della Convenzione delle Nazioni Unite sulla Diversità Biologica.
Dall’incontro, a cui hanno partecipato 195 paesi, la biodiversità è uscita vincitrice.
Almeno sulla carta. L’Accordo di Kunming-Montreal, infatti, stabilisce un quadro globale post-2020 e chiede ai Paesi che l’hanno ratificato di raggiungere quattro obiettivi e 23 target entro il 2030.
Il tutto per fermare la perdita di biodiversità e dare alla natura il modo e il tempo di rigenerarsi.
I punti salienti dell’accordo sono la protezione del 30% delle terre, degli oceani, delle zone costiere e delle acque interne entro il 2030, la riduzione dei sussidi governativi dannosi per la natura, l’ampliamento dei diritti delle comunità indigene e il riconoscimento del loro ruolo nel proteggere la natura. Inoltre è richiesto agli Stati di dimezzare gli sprechi alimentari, ridurre l’utilizzo dei fertilizzanti, e rigenerare almeno il 30% degli ecosistemi degradati.
Per quanto riguarda l’oceano, in particolare, tra i target da raggiungere vi è la prevenzione dell’introduzione di specie esotiche invasive oltre alla richiesta esplicita di eradicarle su isole e altri siti prioritari. Infine, una menzione anche alla richiesta di minimizzare l’impatto dei cambiamenti climatici e dell’acidificazione degli oceani sulla biodiversità oltre a lavorare per aumentarne la resilienza attraverso progetti di adattamento, mitigazione e riduzione dei rischi, incluso l’utilizzo di soluzioni basate sulla natura.
Sul lato finanziario, si è deciso di creare il Fondo globale per l’ambiente all’interno del preesistente meccanismo di finanziamento delle Nazioni Unite per la biodiversità, impegnandosi però a discutere, in un prossimo futuro, di un fondo separato. I Paesi industrializzati hanno inoltre accettato di fornire 30 miliardi di dollari di aiuti per la biodiversità entro la fine del decennio.
Purtroppo l’accordo non è vincolante, nemmeno per il settore privato che, se non saprà cogliere l’opportunità di salvaguardare la natura, potrebbe continuare ad investire in progetti tutt’altro che green. A questo si aggiunge la mancanza di Stati Uniti e Vaticano, che non hanno mai ratificato la Convenzione sulla Diversità Biologica (CBD) e che, al contrario, potrebbero costituire importanti fari guida per una buona fetta della popolazione mondiale.
L’accordo arriva dopo 2 settimane di intense discussioni e non è stato esente da critiche soprattutto da parte di alcuni paesi, come la Repubblica Democratica del Congo, il Camerun e l’Uganda, che temono l’imposizione di politiche di stampo colonialista.
Se, infatti, l’impegno di proteggere il 30% dei mari e delle terre entro il 2030 è un ottimo risultato – soprattutto perché si basa su fondamenta scientifiche visto che si ispira alla teoria di E. O. Wilson che per salvare il Pianeta sarebbe necessario proteggerne almeno la metà – dall’altra è innegabile che il rischio di perpetuare gli errori del passato si ripresenti con forza.
Molte delle strategie e delle politiche finalizzate alla conservazione della natura nei paesi non industrializzati, infatti, ha per decenni risentito di una visione occidentale che vedeva nell’imposizione di determinate regole a tutela di fauna ed ecosistemi, e nell’allontanamento delle popolazioni locali – spesso considerate non idonee alla causa – l’unica soluzione per proteggere la biodiversità.
Tuttavia va detto che, per la prima volta nella storia, un accordo sulla biodiversità fa concreta menzione del riconoscimento dei diritti indigeni sulle loro Terre, gettando le basi per un futuro in cui la conservazione non sia più di stampo colonialista. Ora va capito se i Governi, e il settore privato, saranno davvero in grado di coinvolgere le comunità locali in un percorso di tutela, ripristino e rigenerazione, ad oggi sempre più urgenti, investendo al contempo in progetti di educazione e sensibilizzazione finalizzati a ribadire l’importanza della biodiversità e delle azioni individuali.