Ma che ci vai a fare in grotta? Non hai paura che crolli qualcosa o di rimanere incastrato nelle parti strette?
Queste sono le prime reazioni di tutte le persone che conosco quando dico loro che vado in grotta.
Spiegarlo a voce è impossibile, bisogna viverlo -tipica frase fatta- ma è proprio così.
Queste emozioni, che difficilmente possano essere spiegate, hanno fatto sì che un gruppo di ragazzi/e (più o meno giovani anagraficamente) provenienti da tutta Italia (e non solo) si riunisse per partire in esplorazione di nuove grotte verso la Grecia e l’Albania.
Dopo mesi di organizzazione siamo pronti a partire a metà maggio, ma abbiamo un grosso problema all’auto designata, dovendo rimandare tutto di un giorno e partnedo con la mitica panda.
Il viaggio fila liscio e quando arriviamo in Grecia (non vi posso dire ancora troppo perché questo progetto sta continuando e quindi questa è solo una preview!), parte del gruppo è già ad aspettarci presso delle vecchie terme abbandonate; questa sarà la nostra base per qualche giorno di esplorazioni. Siamo vicini a delle terme perché stiamo cercando grotte particolari, di formazione ipogenica, ovvero legate alle acque sulfuree e termali provenienti dal sottosuolo, cavità naturali molto particolari e non troppo conosciute, quasi una “novità” nell’ambito speleologico.
Si dorme in tenda vivendo molto “alla mano”, ma anche questo è il bello di una spedizione esplorativa.
Le serate scorrono tra vino, progetti per i giorni seguenti e racconti delle scoperte giornaliere e di spedizioni passate… veramente un sogno.
Per me era la prima volta in una spedizione all’estero e così lunga; è proprio una concezione diversa, al limite della sopravvivenza. Considerate che conoscevo solo 2 persone del gruppo (circa13-15) ma già dopo qualche ora eravamo un branco coeso, pronti ad aiutarci in ogni condizione e condividendogli stessi pazzi obiettivi.
La sveglia suona ma noi rimaniamo saldi al mondo dei sogni.
Ad un tratto una voce: “CIONI…. GIULIA…”
Scoppia la bolla di sapone e resuscitiamo istantaneamente. Si va ad esplorare!
Siamo sul letto di un fiume in una zona dove l’acqua ha scavato un canyon, aiutato anche dalle molte sorgenti termali che escono dal sottosuolo.
Alcune cavità sono state parzialmente esplorate da alcuni ragazzi del team in un sopralluogo precedente. L’area di ricerca delle possibili grotte è stata studiata a tavolino, tramite carte geologiche, immagini satellitari e studi vari: alcuni elementi del gruppo esplorativo sono dei luminari riguardo l’esplorazione, con esperienze in giro per tutto il mondo.
L’attrezzatura non si prepara da sola, quindi visto la tarda sveglia, ci sbrighiamo e mentre mangiamo qualcosa al volo prepariamo tutta l’attrezzatura da grotta (tuta, attrezzi vari, casco, luci, ecc.) e fotografica.
Comincio ad impacchettare la mia macchina fotografica, controllando bene batteria e SD (non posso permettermi errori e dimenticanze).
Per proteggerla la metto dentro una custodia stagna e indistruttibile (Maxcase di Plasticapanaro mi sta regalando gioie). Visto che in grotta la luce scarseggia mi servono anche svariate luci e flash e il cavalletto. Tutto ciò dovrà passare insieme a me da pertugi stretti e inospitali.
Immaginatevi come risulta “facile” portarsi tutta l’attrezzatura, ma ne vale sicuramente la pena! Per fortuna tutto il team mi darà una grossa mano. Una cosa fondamentale: in grotta le foto non si possono fare da soli, ci vuole un gruppo e tanta pazienza, perché dipingere il buio non è facile, e le condizioni ambientali di solito non collaborano.
Prima difficoltà: dobbiamo attraversare un fiume in almeno due punti per arrivare sulla riva opposta.
Mutande e calzari ci accompagnano con l’acqua ai fianchi, la corrente non scherza ma in qualche maniera nessuno cade in acqua. La visibilità pari a zero per i piedi e la corrente forte rendono il tutto molto divertente.
La parete di calcare non è così alta, circa 100-200m, ma le grotte in questo caso potrebbero essere abbastanza orizzontali perché di origine ipogenica, quindi legate all’acqua che proviene dal basso e non dall’alto (come in buona parte delle grotte che conosciamo, la cui origine è legata alle piogge).
Ci bardiamo tutti sotto il sole ed entriamo nel boschetto che ci separa dalla parete rocciosa appena comincia a piovere; il buco di ingresso è stretto, un triangolino dove a prima vista non sembra proprio possibile passare. Cosa ci sia sotto non è dato saperlo; so solo che mi hanno detto di non portare l’imbrago, tanto è tutta orizzontale.
Arriva il mio turno e passo parte dell’attrezzatura a chi è entrato prima di me. Mi giungono voci poco rassicuranti sulla prima parte dell’ingresso, ma vabbè: se l’hanno fatto gli altri ce la farò anche io (alcune volte mi capita proprio di pensare così, in quei momenti in cui la mia mente mi mette in dubbio).
La grotta è proprio questo, un viaggio con te stesso, 70% mente e 30% corpo, impossibile da spiegare a chi non l’ha vissuta.
Diciamo che si entra in un’altra realtà, al limite della possibile comfort zone dell’uomo.
L’ingresso si rivela veramente ST**ZO, un buchetto verticale dove passi preciso senza vedere dove vai, con un braccio lungo il corpo e uno alto, sopra la testa, altrimenti ti incastri.
E subito sotto?
Sorpresa: un salto nel vuoto di circa 6 metri. Per fortuna “era tutta orizzontale”. Brividi. Ma usando la buona e vecchia opposizione in qualche maniera (non troppo elegante) si riesce a scendere e toccare il fondo. Il buio ti riempie.
E anche il caldo non scherza; l’aria oscilla tra 20 e 26 gradi (dovuto alle sorgenti termali interne). I rilevatori dei gas non si allarmano, quindi andiamo “tranquilli“, non serve indossare le maschere anche se una controllata ai valori ogni tanto gliela diamo.
Ci dividiamo in 3 squadre: una di esplorazione, una di rilievo (la creazione della mappa della grotta, visto che eravamo i primi ad esplorarla) e una per la documentazione fotografica e video.
In 5 minuti sono tutti spariti nelle gallerie che si diramano in ogni direzione e rimaniamo in 3, pronti a dare luce a queste cavità.
Quello che vedono i nostri occhi è totalmente nuovo per noi, abituati a grotte assai diverse.
Qui si vedono direttamente gli aliti delle grotte con correnti di aria calda o fredda che provano a mischiarsi formando stratificazioni visibili di aria, situazioni al limite delle leggi della fisica.
Tante pareti sono ricoperte da cristalli di zolfo e le forme sono molto sinuose, con domi (sale con il soffitto scavato a forma di cupola) dovuti alle degassazioni e ai vapori acidi legati alla sorgente termale.
Cominciamo a scattare e con tutte le luci e ci rendiamo davvero conto di quello che abbiamo davanti.
Continuiamo così per ore, scoprendo cunicoli e stanze sempre diverse e incrociando a sorpresa i nostri compagni.
Le dimensioni non sono esagerate, in alcuni ambienti si riesce a camminare in piedi ma in buona parte si sta in ginocchio o si striscia, soprattutto finché non ci si addentra nel livello terminale, dove si passa nello stretto (a tratti veramente stretto) per arrivare al sifone.
La sorgente di acqua termale proviene da una fessura profonda con l’acqua cristallina verde-celeste che sparisce nel buio. Questi luoghi, dove oltre non puoi andare, lasciano sempre emozioni forti e domande quasi banali: “proseguirà oltre? “uno speleosub ci passerebbe?”
In questo caso, vista l’origine delle grotte, siamo quasi sicuri che da li in poi l’acqua sulfurea regni sovrana, riempiendo tutte le possibili gallerie.
Una galleria bassa ci hrapisce per qualche ora, il passaggio per arrivarci è stretto e quasi invisibile. Andre (Benassi) ci dice di andare a fare qualche foto che merita e esitazioni ciinfiliamo in quel passaggio e spuntiamo in una galleria, dove ci si muove strisciando come i marines, con le pareti e il soffitto ricoperti di una patina di un giallo sublime; siamo vicini alla parte bassa dove un tempo scorreva il fiume sulfureo, lo zolfo è rimasto sulle pareti dando vita a queste gallerie.
Si esce dopo 10-15 ore di grotta, foto, esplorazione e creazione mappa dei cunicoli.
Siamo sfiniti ma abbiamo una carica addosso che non ha eguali.
Si arriva al campo si mangia e si dorme e la mattina siamo pronti a partire di nuovo.
Le esplorazioni sono viaggi nell’ignoto geografico e nell’ignoto interiore, viaggi “umani” dove scopri una realtà che esula dalla tua concezione, viaggi profondi, in tutti i sensi.
Il giorno seguente la situazione si ripete: ci ritroviamo in una grotta vicina, qui si esplora sia dentro che fuori, e vengono trovati altri due ingressi che poi si rivelano collegati.
In uno di questi, scopriamo la meraviglia, quella che diventerà per noi “Il Santuario”.
Dovrete aspettare per sapere cosa abbiamo trovato, sarà davvero una sorpresa come lo è stata per noi.
Insomma una tempesta di scoperte di stati d’animo veramente esaltati. Nessuna orma prima delle nostre, grotte sconosciute, l’emozione di assaporare un luogo mai visitato in chissà quanto tempo, l’emozione legata ad essere il primo.
Se ci fate caso, credo sia intrinseco negli esseri umani sin da piccoli, voler essere i primi, i primi in qualcosa.
Le grotte sono una delle ultime frontiere esplorative per l’uomo (insieme ai fondali marini), questo significa che ci sono sempre possibilità di scoprire luoghi dove l’uomo non ha mai messo piede.
Paradossalmente in questa spedizione siamo stati in alcuni luoghi dove ci sono state meno persone che sulla Luna!
Insomma, i primi due giorni di esplorazioni non potevano andare meglio, siamo pronti a spostarci seguendo il piano di azione, ma con il pensiero di tornare per completare o almeno continuare l’opera di esplorazione.
È il momento di trasferirsi in un altro stato, ma prima una partita a tetris collettiva per riuscire a chiudere tutta l’attrezzatura nelle macchine.
In Grecia poi abbiamo trovato ambienti meravigliosi ma mai enormi e totalmente unici.
Invece l’Albania ci ha fatto il regalo più grande che si possa fare a degli speleologi!
Qualche assaggino ve l’ho lasciato, ma per contemplare la reale bellezza di quello che hanno assaporato i nostri occhi e corpi dovrete aspettare il prossimo video. 🙂
Stay tuned , perché la meraviglia deve ancora arrivare!
Andrea Massagli
@undernature
[email protected]
www.andreamassagli.com (sito in fase di sviluppo, abbiate pazienza)
Andrea Massagli e tutto il team esplorativo!
(Andrea Benassi, Andrea Gobetti, Giulio della Croce, Giulia Bolognini, Lorenzo Scialo, Roberto Pettirossi, Furio Dutto, Alessandro Valsuani, Alessandro Santero, Pino Palmisano, Christoph Peyre, Daniele Battistini, Eric Gili, Hena Annavini, Jacopo Gemo, Nicola Gemo)
Questo progetto è in collaborazione con RCE FOTO, il più grande mercato di materiale fotografico usato in Italia che lavora per proteggere l’ambiente e per aiutare progetti come il mio di protezione ambientale!
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